Approfondimenti
Gesù è nato. E poi?
di Marcello Cicchese
Già, e poi? Che è successo poi? nei giorni immediatamente seguenti. Il racconto della nascita del piccolo bambino in una grotta, depositato in una mangiatoia, con gli angeli che lodano Dio e i pastori che accorrono nei campi sono, nell'uso, un quadro poetico che non ha bisogno di essere collocato in Israele. Per qualcuno anzi forse sarebbe meglio non farlo, per non indebolire quello che sarebbe il carattere universale dell'opera di salvezza di Gesù. E poi, che c'entra Israele col Natale? Gli ebrei hanno la festa di Chanukkà, che si festeggia proprio in questi giorni, quindi a ognuno il suo: agli ebrei il candelabro a otto luci, ai cristiani le pecorelle del presepe. E ci si ferma lì. Il Vangelo di Luca però non si ferma lì e racconta anche quello che è successo qualche giorno dopo la nascita del piccolo bambino.
Quando furono compiuti gli otto giorni dopo i quali egli doveva essere circonciso, gli fu posto il nome Gesù, che gli era stato dato dall'angelo prima che egli fosse concepito (Luca 2:21)
A questo punto il riferimento a Israele non è più evitabile, perché i genitori di Gesù fanno una cosa che solo gli ebrei ancora oggi fanno: circoncidono il loro figlio. E non lo fanno per stravaganza, ma perché così sta scritto nella legge data da Dio al popolo d'Israele tramite Mosè:
"Quando una donna sarà rimasta incinta e partorirà un maschio, sarà impura sette giorni; sarà impura come nel tempo del suo ciclo mestruale. L'ottavo giorno si circonciderà la carne del prepuzio del bambino" (Levitico 12:2,3).
I genitori del bambino si comportano dunque come semplici, normalissimi ebrei. Il racconto non dice, in modo generico, che "aspettarono otto giorni", ma che furono compiuti gli otto giorni, sottolineando così che Giuseppe e Maria volevano far trascorrere il preciso periodo di tempo in cui, secondo la legge, la donna si trovava in uno stato di impurità dovuto al parto. Passati i sette giorni legali, l'ottavo giorno dalla nascita il bambino fu circonciso e gli fu assegnato formalmente il nome, che in questo caso non era stato scelto dai genitori ma da Dio stesso, e comunicato a Giuseppe attraverso l'angelo Gabriele (Matteo 1:21). Secondo la legge però il periodo di impurità della donna non finiva dopo i sette giorni dovuti al parto, ma proseguiva fino ad arrivare, nel caso di un figlio maschio, ad un totale complessivo di quaranta giorni per la "purificazione del sangue", da trascorrere in una condizione che oggi diremmo, non a caso, di "quarantena". Il testo del Levitico infatti continua così:
Poi, lei resterà ancora trentatré giorni a purificarsi del suo sangue; non toccherà nessuna cosa santa, e non entrerà nel santuario finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione (Levitico 12:4).
Finito il periodo di impurità della donna, la legge richiedeva che i genitori offrissero in sacrificio un agnello e un piccione, con la possibilità di sostituire l'agnello con un altro piccione in caso di povertà.
Quando i giorni della sua purificazione, per un figlio o per una figlia, saranno compiuti, porterà al sacerdote, all'ingresso della tenda di convegno, un agnello di un anno come olocausto, e un giovane piccione o una tortora come sacrificio per il peccato; e il sacerdote li offrirà davanti all'Eterno e farà l'espiazione per lei; e lei sarà purificata del flusso del suo sangue. Questa è la legge relativa alla donna che partorisce un maschio o una femmina. E se non ha mezzi per offrire un agnello, prenderà due tortore o due giovani piccioni: uno per l'olocausto, e l'altro per il sacrificio per il peccato. Il sacerdote farà l'espiazione per lei, e lei sarà pura'” (Levitico 12:6-8)
Anche questo fecero Giuseppe e Maria, avvalendosi dell'opzione dei due piccioni, probabilmente perché un agnello per loro era troppo costoso.
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione, secondo la legge di Mosè portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, com'è scritto nella legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà chiamato santo al Signore”, e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani piccioni (Luca 2:22-24).
Nel passo di Luca si nota però che Giuseppe e Maria non si limitarono ad offrire il sacrificio di due piccioni per la loro purificazione, ma anche "portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore". Questo non era richiesto dalla legge per tutti i neonati, ma soltanto per i primogeniti maschi, come nel caso di Gesù. Questo perché i primogeniti, secondo la legge, appartengono a Dio, quindi devono essere formalmente restituiti a Lui in un atto simbolico di consacrazione. Cosa che anche Giuseppe e Maria fecero, portando Gesù al Tempio per "consacrarlo all'Eterno", secondo quello che sta scritto:
Quando l'Eterno ti avrà fatto entrare nel paese dei Cananei, come giurò a te e ai tuoi padri, e te lo avrà dato, consacra all'Eterno ogni fanciullo primogenito e ogni primo parto del bestiame che ti appartiene: i maschi saranno dell'Eterno (Esodo 13:11,12).
Sono questi i fatti narrati nella Bibbia che si collegano a quel "Santo Natale" che oggi, 25 dicembre, si vorrebbe festeggiare. Ma è chiaro allora che questi fatti possono assumere senso e significato soltanto all'interno di un quadro che appartiene interamente alla storia d'Israele. Come fanno gli ebrei a trascurarlo e i gentili a deformarlo? Entrando nei particolari della storia, si può dire che non si sa dove avvenne la circoncisione, che di solito si faceva in casa, e in ogni caso non aveva bisogno né di Tempio né di sinagoghe. Si sa soltanto che quando furono compiuti i giorni della loro purificazione Giuseppe e Maria portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, segno evidente che non dimoravano a Gerusalemme e nel frattempo potevano trovarsi ancora a Betlemme o anche essere tornati a Nazaret.
Nel Tempio, in cui si trovavano per la consacrazione del bambino, avviene un fatto imprevisto: arriva inaspettato un uomo di cui non si sa nulla e che non si ripresenterà più nei Vangeli; si dice soltanto il suo nome, e che stava a Gerusalemme, e che era giusto e timorato di Dio. Sul suo tipo di devozione si dice soltanto che "aspettava la consolazione di Israele".
Vi era a Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest'uomo era giusto e timorato di Dio e aspettava la consolazione d'Israele; lo Spirito Santo era sopra lui e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non avrebbe visto la morte prima di aver visto il Cristo del Signore. Egli, mosso dallo Spirito, andò al Tempio e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, se lo prese anch'egli nelle braccia, benedisse Dio e disse: “Ora, o mio Signore, lascia pur andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola, perché gli occhi miei hanno visto la tua salvezza, che hai preparato dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Luca 2:25-32).
Dev'essere sottolineato che anche queste parole fanno parte del racconto biblico della nascita di Gesù e dunque devono essere elemento della celebrazione del cosiddetto Natale. Si può notare allora che se il quadro natalizio campestre col coro degli angeli guarda al presente (Vi annuncio una grande gioia), e al futuro (pace in terra fra gli uomini che Egli gradisce), il quadro sacrale del Tempio rivolge lo sguardo verso un passato di sofferenza e schiavitù in cui si trova una promessa di consolazione che si avvera nel presente e comincia a compiersi proprio in quel bambino. Dire che Simeone "aspettava la consolazione di Israele" significa che era in attesa del compimento della promessa del Signore contenuta nelle parole del profeta Isaia:
“Consolate, consolate il mio popolo”, dice il vostro Dio. “Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che il tempo della sua schiavitù è compiuto; che il debito della sua iniquità è pagato, che essa ha ricevuto dalla mano dell'Eterno il doppio per tutti i suoi peccati” (Isaia 40:1,2).
La figura di Simeone acquista allora un posto emblematico nel piano di salvezza di Dio. Simeone è stato il primo uomo, un ebreo giusto e timorato di Dio, a sperimentare consapevolmente, nella sua persona, quella consolazione d'Israele che era stata promessa e lui aspettava con fervido ardore. È stato consolato. Ha visto coi suoi occhi la salvezza di Dio. Quello che teneva fra le braccia era soltanto un bambino, ma lui ha esercitato la fede in Dio senza vedere nient'altro, semplicemente credendo con tutto il cuore che fosse proprio quel bambino il Messia di cui parla la Scrittura e che lo Spirito gli aveva indicato personalmente. Il suo pensiero sarà andato forse a quel passo del profeta Isaia:
"... un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e l'impero riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace (Isaia 9:7).
Al questo punto Simeone si rivolge a Dio e gli dice che il tempo dell'attesa per lui è finito. A Dio ora chiede soltanto di essere lasciato andare in pace perché aveva visto coi suoi occhi, prima della sua morte, quella che egli chiama "la tua salvezza, che hai preparato dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.
Anche questo è importante. Luce-genti, gloria-Israele. E' riconducibile alle parole del profeta Isaia con cui l'Eterno rivela il compito che vuole assegnare al suo servo Messia:
“È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle genti, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra” (Isaia 49:6)
Ecco i due obiettivi assegnati dall'Eterno al suo Servo: ricondurre a Dio Israele ed essere luce alle genti. In Isaia gli obiettivi avrebbero dovuto essere raggiunti in quest'ordine, e Gesù aveva cominciato a farlo, quando ai suoi discepoli aveva ordinato:
“Non andate fra i Gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani, ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele (Matteo 10:6),
e alla donna cananea che chiedeva aiuto aveva risposto:
Ma per la risposta che Israele darà a Dio, l'ordine appare invertito nelle parole profetiche di Simeone: prima viene la"luce da illuminare le genti" , di cui anche le luci familiari e commerciali di questi giorni sono inconsapevole testimonianza; poi arriverà indubitabilmente anche la seconda: la "gloria del tuo popolo Israele".
Si può allora trarre una prima conclusione. Schematizzando al massimo, si può dire che il racconto della nascita di Gesù secondo Luca si presenta in due parti: la prima avviene nei campi, la seconda nel Tempio. Nella prima parte Dio opera attraverso gli angeli, nella seconda attraverso lo Spirito Santo. I campi sono la scena in cui gli angeli annunciano l'arrivo sulla terra della salvezza di Dio nella venuta del Messia; nel Tempio di Gerusalemme lo Spirito Santo inizia a mettere in opera questa salvezza nella realtà dei fatti che proprio lì, nel centro di Israele, avvengono. Appare come rivelazione anche l'inversione nell'ordine dei compiti affidati al Messia: prima la luce alle genti, poi la gloria d'Israele. E anche di questa inversione si può individuare una traccia di motivazione nel racconto stesso. La consolazione di Israele è rivelata da Dio al suo popolo nel punto giusto: il Tempio di Gerusalemme, ma chi si rivela adatto a ricevere questa rivelazione non sono i sacerdoti ordinati, ma un semplice israelita in fervida attesa del Messia. Nei campi si trovano gli umili pastori, nel Tempio arriva il pio Simeone: le autorità del popolo sono del tutto evitate. E' un fatto. Il racconto poi prosegue tornando ad occuparsi di Giuseppe e Maria:
Più che comprensibile. Davanti a fatti di tale portata che altro si poteva chiedere a due semplici ebrei come Giuseppe e Maria? Restavano meravigliati di quello che si diceva su Gesù: succede a tanti ancora oggi, dopo secoli dai fatti, figuriamoci a loro. Ma Simeone, pur non avendo cariche, li benedirà, e con autorità di profeta dirà loro parole che, come vedremo, saranno risuonate pesanti alle loro orecchie.
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DAL VANGELO DI LUCA, cap.2
- Vi era a Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest'uomo era giusto e timorato di Dio e aspettava la consolazione d'Israele; lo Spirito Santo era sopra lui
- e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non avrebbe visto la morte prima di aver visto il Cristo del Signore.
- Egli, mosso dallo Spirito, andò al tempio e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge,
- se lo prese anch'egli nelle braccia, benedisse Dio e disse:
- “Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola,
- perché gli occhi miei hanno visto la tua salvezza,
- che hai preparato dinanzi a tutti i popoli
- per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.
- Il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che dicevano di lui.
- Simeone li benedisse e disse a Maria, sua madre: “Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione
- (e a te stessa una spada trapasserà l'anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati”.
- Vi era anche Anna, profetessa, figlia di Fanuel, della tribù di Aser, la quale era di età avanzata. Dopo essere vissuta con il marito sette anni dalla sua verginità,
- era rimasta vedova e aveva raggiunto gli ottantaquattro anni. Ella non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
- Sopraggiunta in quella stessa ora, lodava anch'ella Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Le notizie che danno i Vangeli sulla vita di Gesù prima del suo ministero pubblico sono scarsissime. Su una persona come Gesù, che comunque lo si giudichi ha occupato e occupa tuttora un posto di enorme rilievo nella storia, qualcuno forse avrebbe voluto sapere qualcosa di più sui particolari della sua vita. Ma anche in questo racconto, come in tutti gli altri nella Bibbia, l'autore del testo, cioè lo Spirito Santo, non è un semplice reporter del fatto che vede avvenire, ma è un editor che forma il racconto del fatto dopo aver partecipato all'avvenimento del fatto. Il racconto così formatosi diventa, nelle mani dell'Editor, un altro fatto destinato a produrre nuovi effetti in chi lo legge. Se dunque le notizie sembrano poche, vuol dire che ad esse si deve dare particolare importanza, perché l'Editor ha scelto punti essenziali da far conoscere e ha omesso di proposito altri dettagli che avrebbero potuto portare fuori strada. E' Dio in azione che si deve vedere nei racconti della nascita e dell'infanzia di Gesù; gli uomini intervengono come reazione all'agire di Dio, che è il principale attore in tutta la scena, dall'inizio alla fine, non solo nei fatti che sono accaduti, ma anche nel modo in cui ha deciso che siano narrati. I tratti della vita di Gesù prima del suo ministero pubblico sono contenuti tutti in due capitoli della Bibbia: Matteo 2 e Luca 2. In Matteo, che si dice essere stato scritto per gli ebrei, il bambino Gesù viene messo in una relazione di attrazione e repulsione con i gentili. I magi d'Oriente cercano il posto dove si trova Gesù per adorarlo; Erode cerca anche lui quel posto, ma per ammazzarlo. Anche tra i gentili Gesù è stato fin dall'inizio un "segno di contraddizione". In Luca, che si dice essere stato scritto per i gentili, il bambino Gesù è messo in relazione con gli ebrei. Gli episodi presentati sono tutti in chiave positiva, ma con diverse accentuazioni. I luoghi in cui avvengono sono in tutto tre: uno nei campi: l'annuncio degli angeli; due nel Tempio: l'intervento di Simeone e Anna e il colloquio di Gesù dodicenne coi dottori della legge. Poiché l'Editor che ha formato il racconto dei fatti è anche Colui che ha provocato e diretto i fatti, non si può far a meno di notare che il Tempio di Gerusalemme occupa un posto di assoluto rilievo nel racconto di Luca. Non sono curiosità colorite, ma comuncazioni importanti che richiedono attenzione per essere percepite nel loro valore. Il Tempio è un elemento molto sottovalutato nelle due religioni scaturite dalla Bibbia. Gli ebrei ordinano di osservare la Torà per camminare da giusti sulla terra; i cristiani invitano a credere nel Vangelo per andare da salvati in cielo, e non si pensa che fin dal tempo di Caino Dio progetta di scendere dal cielo per venire ad abitare sulla terra in una Sua casa, in una creazione da Lui rinnovata, in mezzo ad uomini riconciliati con Lui. C'è un netto contrasto tra la scala di valori posta da ogni religione umana, che mette prima l'uomo e poi Dio, e la fede cristiana fondata su radici ebraiche, che rettamente intesa pone la giusta graduatoria: prima Dio e poi gli uomini. Il concetto di "casa di Dio" (בית אלהים Beit Elohim) compare la prima volta proprio all'inizio della storia della salvezza, nel sogno che fa Giacobbe mentre è in viaggio verso Paddan-Aram in cerca di moglie (Genesi 28:10-22). La casa di Dio è il preciso luogo in cui Dio vuole incontrare gli uomini per abitare in un dato tempo e in un certo modo in mezzo a loro. Nel deserto:
«Abiterò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio. Essi conosceranno che io sono l'Eterno, il loro Dio, che li ho fatti uscire dal paese d'Egitto per abitare in mezzo a loro. Io sono l'Eterno, il loro Dio» (Esodo 29:45-46).
In Israele, al tempo di Gesù:
«La Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità» (Giovanni 1:14).
Nella nuova creazione:
«Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non c'era più. E io, Giovanni, vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal cielo, che diceva: «Ecco l'abitazione di Dio con gli uomini! Ed egli abiterà con loro; e essi saranno suo popolo e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio». (Apocalisse 21:1-3)
Nel racconto di Luca, dopo l'annuncio degli angeli nei campi la scena si sposta all'interno del Tempio di Gerusalemme, che Dio stesso indica come "la mia casa" (Isaia 56:7, Matteo 21:13) Notiamo allora lo svolgimento dei fatti. Giuseppe e Maria portano il loro figlio primogenito al Tempio per consacrarlo al Signore; lì si aspettavano di trovare le braccia di un sacerdote a cui consegnare il bambino per essere consacrato a Dio e benedetto. Ma di sacerdoti nel racconto non si vede neppure l'ombra. Compare invece un uomo. Un uomo qualsiasi, senza curriculum. Si dice soltanto che era giusto e timorato di Dio. Non è a lui che i genitori dovevano presentare il bambino, ma lui, con un atto di sua volontà, si prende il bambino tra le braccia. Ma non lo benedice, come avrebbe fatto un sacerdote: benedice invece i suoi genitori. Come mai? Alla madre Maria poi non fa le congratulazioni, ma rivolge parole gravi: «Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione (e a te stessa una spada trapasserà l'anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati» (v. 34). Sono parole profetiche pesanti. Maria ne avrà avvertito il suono cupo, ma non avrà potuto coglierne tutto il significato. Si parla di rialzamento, ma perché c'è stata una caduta, di spada che trapassa l'anima, di pensieri svelati che dietro il velo probabilmente non erano molto edificanti. Senza poter esaminare qui il profondo significato di queste parole, quello che si può dire è che fino a questo punto del racconto il posto centrale della risposta umana all'azione di Dio si trova nella persona di Maria. Questo anche perché le notizie riguardanti il periodo non pubblico della vita di Gesù possono essere arrivate a Luca soltanto attraverso Maria; Giuseppe infatti quando Gesù fu crocifisso era già morto. Si pensi per esempio al versetto che si trova più avanti: "... e sua madre serbava tutte queste cose in cuor suo" (v. 51); solo Maria avrebbe potuto riferire quello che passava in cuor suo. Questo non divinizza la figura di Maria, ma ne sottolinea il fatto di essere presente nel Tempio di Gerusalemme come serva del Signore (Luca 1:46-55) in Israele, perché - sia detto per inciso - la Maria biblica non è madre della Chiesa, come sostiene un certo cristianesimo, ma "figlia di Israele" (ved. "Maria figlia di Israele"). Resta da prendere in considerazione la figura di Anna. Era una profetessa, e con questo si può intendere che aveva ricevuto da Dio la facoltà di comprendere e trasmettere ad altri le rivelazioni della Sua parola, cosa che al popolo nel suo complesso era stata negata da Dio (Isaia 6:9-10, Matteo 13:13-15). Era una vedova, quindi appartenente a una delle tre classi deboli particolarmente protette dal Signore: lo straniero, l'orfano e la vedova (Deuteronomio 27:19). Era assidua al Tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere, dunque un'autentica pia israelita, come l'istruito Natanaele incontrato da Gesù (Giovani 1:45-51) all'inizio del suo ministero. Sulle due persone che in questo momento si trovano intorno alla "sacra famiglia" di Gesù, ci sono due cose che le accomunano: il Tempio e Israele. E' lo Spirito Santo che muove il giusto e timorato Simeone ad andare al Tempio; ed è la fervida pietà di Anna che la mantiene notte e giorno assidua Tempio. Ed è proprio lì che, come "per caso", incontrano Gesù. E' Israele che tutti e due hanno nel cuore e di cui fanno il nome nel loro parole. Simeone vede in Gesù la consolazione di Israele, dunque la fine delle sofferenze del passato, come le profezie avevano annunciato; Anna vede in Gesù la redenzione di Israele, dunque l'apertura verso un futuro glorioso che le profezie promettono. E tutto questo avviene all'interno del Tempio, nella casa di Dio. Si potrebbe dire allora che proprio lì, in quella particolarissima casa, è avvenuta una nascita: è spuntato un germoglio. "Germoglio", uno dei nomi con cui nelle profezie si indica il Messia. Un nome che non per nulla è messo in relazione con il Tempio:
«Così parla l'Eterno degli eserciti: 'Ecco un uomo, che si chiama il Germoglio, germoglierà nel suo luogo e costruirà il tempio dell'Eterno; egli costruirà il tempio dell'Eterno, riceverà la gloria, si siederà e dominerà sul suo trono» (Zaccaria 6:12-13).
"Germoglierà nel suo luogo". Dunque il luogo è importante, in relazione alla venuta del Messia. Nell'ultima parte del racconto di Luca si vedrà che anche per Gesù dodicenne il luogo è importante.
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DAL VANGELO DI LUCA, cap.2
- Quando ebbero adempiuto tutte le prescrizioni della legge del Signore, tornarono in Galilea, a Nazaret, loro città.
- Il bambino cresceva e si fortificava, essendo ripieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra lui.
- I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
- Quando egli fu giunto ai dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa;
- passati i giorni della festa, come se ne tornavano, il fanciullo Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori,
- i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo fra i parenti e i conoscenti
- e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme alla sua ricerca.
- Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, che li ascoltava e faceva loro delle domande;
- tutti quelli che lo udivano stupivano del suo senno e delle sue risposte.
- Vedutolo, sbigottirono e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena”.
- Ed egli disse loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?”.
- Ed essi non compresero la parola che egli aveva detto loro.
- Poi discese con loro, andò a Nazaret e stava loro sottomesso; e sua madre serbava tutte queste cose in cuor suo.
- E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini.
Un pittore che volesse rappresentare la storia di Gesù prima del suo ministero pubblico, come raccontata nel secondo capitolo del Vangelo di Luca, potrebbe dipingere un quadro con tre scene, oppure formare un trittico in modo da legare insieme le tre parti in un tutto. Nel primo quadro appare la grotta con lo sfondo dei campi, negli altri due si vede il Tempio sullo sfondo di Gerusalemme. Nell'ultimo però c'è anche una cornice: Nazaret. Nel passo sopra citato fanno da cornice quattro versetti, due all'inizio (39,40) e due alla fine (51,52), dove compare il nome di Nazaret. All'inizio e alla fine del racconto si vedono i membri della sacra famiglia che tornano o scendono da Gerusalemme e si muovono in direzione di Nazaret, loro città. E' come se l'Editor celeste avesse voluto farci sapere che è inutile porsi tante domande sulla vita di Gesù prima della sua entrata nella scena pubblica, perché dopo il ritorno di Giuseppe dall'Egitto (Matteo 2:19-23) la vita della sacra famiglia si è svolta tutta in quella cittadina della Galilea. Per due volte, in alto e in basso nella cornice del quadro (vv. 40,52), si dice che Gesù cresceva. Cresceva fisicamente, in forza e statura, e spiritualmente, in sapienza e grazia di Dio. Nient'altro ci viene detto. Questo significa che nulla di ciò che non si trova scritto si deve cercare di sapere o immaginare. E su quel che è detto si deve invece attentamente riflettere e meditare. Una semplice osservazione allora si può fare intorno alle quattro qualità in cui Gesù si distingueva nella crescita: due di esse, forza e sapienza, dipendono in parte anche dall'uomo, mentre statura e grazia dipendono esclusivamente da Dio. Riflettere in modo umile e attento su parole bibliche come queste, inserite nel loro contesto e paragonate con altre, può utilmente sostituire astratte discussioni teologiche sul mescolamento di sostanze, divina e umana, quando si vuol discettare su Gesù uomo e Dio, L'angelo Gabriele aveva detto a Giuseppe:
"Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua moglie; perché ciò che in lei è generato, è dallo Spirito Santo" (Matteo 1:20).
E a Maria aveva detto:
"Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra; perciò anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio" (Luca 1:35).
Lo Spirito Santo che è venuto su Maria e l'ha coperta dell'ombra dell'Altissimo, è rimasto all'opera anche dopo la nascita del Santo bambino. Si è interessato alla sua crescita fisica e spirituale, come uomo e Figlio di Dio. E al momento opportuno ha organizzato la visita di Gesù al Tempio di Gerusalemme. Il quadro che si trova dentro la cornice, Luca 2:41-50, è di un'importanza eccezionale. Oltre ad essere l'unico scorcio della vita di Gesù prima del suo ministero pubblico, le parole da Lui pronunciate in quella occasione sono le prime in assoluto ad essere riportate nella Bibbia. Tenuto presente che ciò che si presenta per la prima volta nella Scrittura ha di solito un'importanza particolare, sorprende che nei commenti questa priorità delle parole di Gesù dodicenne non sia stata molto sottolineata. L'episodio appare piuttosto come una curiosità che colora la vita del personaggio, più che come parte significativa della rivelazione che Dio fa di Sé proprio in quel preciso avvenimento e nel modo in cui ne riferisce la Sacra Scrittura. Ci si sofferma su domande che nascono dal nostro modo di vivere come uomini sulla terra: come mai Gesù non era coi suoi genitori? sarà stata colpevole indisciplina da parte sua? o piuttosto comprensibile desiderio di indipendenza di un giovane che si avvicina all'età adulta? O forse carenza di attenzione da parte dei genitori, che solo dopo tre giorni s'accorgono che il ragazzo non c'è e non sanno dove trovarlo? Sorgono allora difese d'ufficio: no, non si può accusare Gesù perché ecc., ma neanche i genitori sono colpevoli perché ecc. Qualcuno si chiede anche come mai è la madre che interroga Gesù, e non il padre. C'è chi vi ha visto un'espressione della tipica preoccupazione possessiva delle mamme ebree verso i loro figli, un'anticipazione della proverbiale Yiddishe Mame; ma è un anacronismo, come quello di collegare in qualche modo quell'esperienza di Gesù dodicenne con l'attuale Bar Mitzvah, una tradizione che risale al Medio Evo. Come in altri casi, non si tiene presente che l'ebraismo del tempo dei Vangeli è ben diverso da quello che è diventato poi nei secoli successivi.
Si fanno anche osservazioni gratuite o domande che non possono ottenere risposta per il semplice fatto che la Bibbia risponde solo a domande che essa stessa pone, invitando a cercare in se stessa la giusta risposta, secondo la vecchia massima oggi purtroppo molto trascurata, che "la Bibbia si spiega con la Bibbia". La Bibbia è rivelazione di Dio, e più precisamente rivelazione di come Dio è intervenuto nella storia degli uomini con parole e fatti. Un esempio si può trovare nel secondo quadro del trittico natalizio del Vangelo di Luca. Per tre volte è nominato lo Spirito Santo: è sopra Simeone (v. 25); gli rivela qualcosa sul tempo della nascita del Messia (v. 26); lo spinge ad andare al Tempio proprio nel momento in cui lì si trova il bambino Gesù (v. 27). Qui si vede Dio in azione che interviene nella storia per dirigere i momenti della nascita dell'uomo che poi chiamerà "mio figlio": Gesù (Matteo 17:5). Ed è lo stesso Dio che secoli prima è intervenuto nella storia per dirigere i momenti della nascita del Popolo che poi chiamerà "mio figlio": Israele (Esodo 4:22). Questo mostra l'indissolubilità del legame storico fra Israele e Gesù. Lascino pure ogni speranza coloro che vorrebbero rompere questo legame, sia da una parte, sia dall'altra: non ci riusciranno mai (cfr. Osea 11:1, Matteo 2:15, Ebrei 11:24-26). Si possono avere utili spunti di riflessione facendo accostamenti, notando somiglianze e diversità tra la nascita di Gesù e l'uscita di Israele dall'Egitto. Esempio: Erode che vorrebbe uccidere Gesù subito dopo la nascita (Matteo 2:1-18), e Amalec che voleva fare una cosa simile con Israele (Esodo 17:8-14). E naturalmente nessuno dei due ci riuscì. Dio sa come difendere suo figlio. Si può osservare Dio in azione nei due quadri del trittico natalizio che hanno come centro il Tempio. Nel primo, Simeone, che appare come "parte buona" di Israele, viene spinto dallo Spirito ad andare nel Tempio e lì vi trova il bambino Gesù. Nel secondo, il dodicenne Gesù viene spinto dallo Spirito ad andare nel Tempio e lì vi trova dei dottori della legge, che appaiono anche loro come "parte buona" di Israele. In entrambi i casi l'incontro è presentato in termini del tutto positivi. Nel piano di Dio era arrivato il momento in cui il ragazzo Gesù doveva entrare in relazione personale con la società, cosa che implica sempre una prima forma di allontanamento dalla famiglia. Così doveva essere, dunque Dio ha fatto in modo che la cosa avvenisse. Le circostanze che hanno portato a questa prima uscita pubblica di Gesù sono descritte in modo molto sintetico, questo significa che i pochi particolari riportati sono importanti, non come colorita descrizione del modo in cui sono avvenute le cose, ma per quello che possono dire intorno al motivo essenziale che ha determinato l'avvenimento. Non è l'eventuale umana sbadataggine di genitori o figlio che dev'essere sottolineata, ma il fatto che il colloquio di Gesù nel Tempio è avvenuto perché "i suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua". Questo non è un semplice particolare descrittivo, ma una precisa informazione con cui la Parola di Dio rende noto che Gesù è cresciuto in una pia famiglia israelita, fedele osservante dei costumi del suo popolo. E con il resto della cornice dei quattro versetti fa sapere che il loro figlio non si comportava come un contestatore giovanile dell'ambiente paterno, ma era serenamente inserito nella sua famiglia ebrea. Uscendo dalla cornice, si riconosce che il centro del racconto è costituito dagli scambi in simultanea che Gesù ha coi dottori della legge e con i genitori. Il ragazzo Gesù, che tutti gli anni andava a Gerusalemme con la famiglia per la festa di Pasqua, la dodicesima volta si è sentito spinto da qualcosa o da Qualcuno a fermarsi nel Tempio per parlare con esperti dottori della legge. Di questo scambio viene soltanto detto che Gesù ascoltava, poneva domande, e che "tutti quelli che lo udivano stupivano del suo senno e delle sue risposte". Se ne deduce che già a quell'età Gesù conosceva la legge tramandata nel suo popolo e poneva domande a chi ne sapeva di più non per metterli in imbarazzo da saccente, ma perché era desideroso di saperne di più. I dottori si saranno accorti della sua competenza proprio dal tipo di domande che poneva, dalle quali si poteva riconoscere che lui aveva davvero capito quello che era stato detto fin a quel punto ed era capace di formulare domande pertinenti o indicare eventuali conseguenze. Si può dire dunque che questo primo incontro all'interno tra Gesù e esponenti della legge è riportato dal Vangelo in modo del tutto positivo. Il ragazzo Gesù si muove pienamente a suo agio nell'ambiente del Tempio, ma dello scambio intercorso con i dottori della legge non viene riportato nulla, né di una parte né dell'altra. E sì che la cosa ci sarebbe interessata molto oggi, viste le discussioni che si sono fatte in seguito sul rapporto fra legge e Gesù.
Viene riportato invece lo scambio tra Gesù e i suoi genitori. Questo significa che proprio qui sta il centro del racconto, anche perché è qui che si trovano le prime parole di Gesù riportate dalla Bibbia. Le battute sono poche, ma appunto per questo sono da considerare essenziali, perché il Regista celeste dell'avvenimento, che è anche l'Editor del racconto, ha pesato le parole a cui voleva affidare una particolare rivelazione. Sono i genitori a parlare per primi, ed è la madre che prende la parola:
“Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena” (v. 48).
Maria non chiede che cosa è successo, dove è stato, come mai si trova lì, non cerca l'eventuale responsabilità. Poteva essere stato un disguido, o una leggerezza di qualcuno che non aveva fatto quello che doveva fare. No, Maria attribuisce subito tutta la responsabilità a Gesù. Non gli chiede come, ma perché. Dà per scontato che Gesù aveva l'età per sapere quello che faceva, dunque ne aveva anche la responsabilità. Il sottotono inespresso delle sue parole può essere stato questo: "Tu sapevi che noi ti avremmo cercato e saremmo stati in pena per te, dunque perché l'hai fatto?" E per appesantire la gravità del fatto fa riferimento ai rapporti di famiglia cominciando con un solenne Figlio!, come a dire: Ragazzo, ricordati che noi siamo i tuoi genitori. Non usa però la parola "genitori", ma nomina padre e madre. E qui forse si può capire perché il Regista celeste ha fatto in modo che fosse Maria a prendere la parola: perché in questo modo può venir fuori il riferimento esplicito al padre: "tuo padre ed io ti cercavamo..." Questo dà a Gesù il punto d'appoggio per la sua risposta. Alla domanda della madre: ".. perché ci hai fatto così?" Gesù risponde in perfetto stile ebraico, con un'altra domanda: "Perché mi cercavate?" Adesso sono loro in debito di risposta. E al sottotono con cui Maria voleva dire: "Tu sapevi che ti avremmo cercato..." Gesù risponde in chiaro tono: "Perché mi cercavate, non sapevate che..." Cos'è che i genitori avrebbero dovuto sapere e non sapevano? La domanda completa di Gesù è questa:
"Perché mi cercavate, non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio" (v. 49).
Quel "Padre mio" di Gesù è la risposta a quel "tuo padre" di Maria. E questo può dare l'avvio a riflessioni bibliche sulla persona di Gesù come uomo e come Dio, ma non ci vogliamo qui addentrare. Non si registrano reazioni alle parole di Gesù e il resoconto del colloquio si conclude con uno sguardo sui genitori:
Il fatto è che anche noi, a secoli di distanza, facciamo fatica a capirla. Vogliamo manifestare anche la nostra fatica avvertendo che la traduzione del versetto 49 non è letterale: non è che una delle tante traduzioni che cercano affannosamente di dare un significato alla frase di Gesù. Ne indichiamo alcune, anche in altre lingue, in una tabella in cui sono indicati con colori uguali termini che si riferiscono allo stesso originale:
Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio"
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Riveduta 2020
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Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?
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Nuova Diodati
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Non sapevate voi ch'egli mi conviene attendere alle cose del Padre mio?
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Diodati
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Non sapevate, come nelle cose spettanti al Padre mio debbo occuparmi?
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Martini
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Wist ye not that I must be about my Father’s business?
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King James
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Do you not know that it was fitting for me to be in my Father's house?”
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Aramaic Bible
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Wisset ihr nicht, daß ich sein muß in dem, das meines Vaters ist?
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Luther
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Wußtet ihr nicht, daß ich im Eigentum meines Vaters sein muß?
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Textbibel
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Ne saviez-vous pas qu'il faut que je m'occupe des affaires de mon Père?
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Louis Segond
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Ne saviez-vous pas qu'il me faut être aux affaires de mon Pere?
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Darby
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L'oscillazione di traduzione riguarda tre termini che nella nostra traduzione sono, nell'ordine, dovevo, trovarmi, casa.
Il primo termine (e i corrispondenti nelle altre lingue) viene usato da quasi tutti quelli elencati tranne la Diodati (mi conviene) e la Aramaic Bible (was fitting).
Il secondo termine viene tradotto sostanzialmente in due modi: uno che indica luogo (trovarmi, to be, sein. être) e l'altro che indica attività (occuparmi, attendere, m'occupe).
Il terzo termine viene tradotto in quattro modi: uno che indica luogo (casa, house), un altro che indica attività (business, affaires), un terzo generico (cose, dem das), un quarto, unico in questa lista, che indica proprietà (Eigentum).
La difficoltà sta nel fatto che due di questi termini, il secondo e il terzo nell'elenco, hanno un significato comune molto ampio: il verbo tradotto con trovarmi è il verbo εἰμί (essere, esistere), il termine tradotto con casa non viene neanche indicato in modo a sé stante nei dizionari perché si può considerare come la declinazione di un articolo che acquista significato soltanto accostato a qualche altra cosa. Per questo può essere tradotto anche con il generico cose. Il termine più adatto per tradurlo in italiano potrebbe essere "ciò che". Viene tradotto in questo modo soltanto nella Bibbia di Lutero: dem, das.
Anche il termine tradotto comunemente (e sbrigativamente) con devo, must, muß, il faut, ha un significato più sfumato che si trova soltanto nella Diodati (mi conviene) e nella Aramaic Bible (was fitting).
Si è dunque davanti a una difficoltà di traduzione che potrebbe essere di per se stessa indicativa. Ricorda la difficoltà che si trova nella traduzione del versetto di Esodo 3:14: Io sono colui che sono. In entrambi i casi si tratta di attributi di Dio, e in questo caso gli attributi riguardano il rapporto fra Dio Padre e Dio Figlio.
Si propone qui una traduzione molto letterale:
"Perché mi cercavate, non sapevate che mi si addice essere in ciò che è del Padre mio?"
Il pronome ciò non indica qui necessariamente casa, ma potrebbe indicare anche di più, cioè tutto quello che appartiene a Dio, quindi anche la casa. Questo significato è reso bene dalla traduzione tedesca Textbibel, che usa il termine Eigentum, che significa proprietà. Se Gesù è Figlio di Dio, come vogliono annunciare i racconti della nascita, è naturale pensare che al Figlio erede appartenga tutta la proprietà del Padre. E poiché il Tempio è il centro di questa proprietà, avrebbe dovuto essere chiaro ai genitori che se Gesù non era con il suo padre terreno, non poteva che essere al centro della proprietà del Padre suo celeste. "Questo è il mio posto - sembra dire Gesù ai genitori -; è il posto che mi si addice come erede di tutto ciò che è del Padre mio. Davvero non sorprende che Giuseppe e Maria non abbiano capito quella parola: ci sentiamo molto vicini a loro. Ma è chiaro che quella parola doveva essere detta, per i contemporanei di Gesù e per noi che leggiamo.
(Notizie su Israele, dic 2022 - gen 2023)
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